Tuesday 5 May 2009

Triveneto e Mezzogiorno

Dopo il successo de “la casta” e’ stato riproposto il libro di Gian Antonio Stella: “schei”. Sebbene con dati vecchi di una decina di anni, il libro spiega meglio di quanto abbia sentito altrove il fenomeno del nordest d’Italia. Da napoletano ho capito tante cose del triveneto, un mirabile modello emergente dall’infaticabile laboriosita’ ed ingegno italiane che ha esaltato nel bene e nel male cio’ che un passato di fame ed il mito del danaro puo’ provocare nella societa’ contemporanea.
Il passato di dominazioni, gli anni di poverta’, l’assenza dello stato sono tutti tratti comuni col mezzogiorno d’Italia. A leggere di come Venezia (a parte l’industria del vetro) si sia adagiata sul’economia del commerciante da negozietto/bancarella e di come gli adescatori di piazza costringano turisti americani e giapponesi a pagare cifre stratosferiche per un oggetto di vetro fatto a Taiwan, si ricorda immediatamente Napoli. La creativita’, la goliardia, l’uso del detto sono tutti tratti comuni.
Eppure sappiamo bene che Luciano Benetton non avrebbe mai potuto chiamarsi Ciro Esposito.
Non pretendo di spiegarlo ma sicuramente essere ad un estremo dello stivale piuttosto che ad un altro fa una certa differenza.
Le dominazioni hanno lasciato nel triveneto un buon ricordo. A differenza del mezzogiorno, alla poverta’ del popolo non faceva da contraltare il fasto di palazzo reale, la segregazione di ricchi e poveri del Regno delle due Sicilie. Vittorio Emanuele II Re di Savoia diventa Vittorio Emanuele II Re d’Italia annettendo il mezzogiorno come una conquista coloniale. L’assenza dello stato nel mezzogiorno diventa allora un autorizzazione all’autogoverno ed all’illegalita’. Nel Triveneto diventa un auspicabile escamotage per introdurre flessibilita’ e meritocrazia.
A chi pensa poi che i campani siano degli scansafatiche rispondo di andare a chiederlo ai piccoli impreditori di quelle terre che tra criminalita’ e compromessi si sono spaccati la schiena per una vita e le cui aziende rischiano il fallimento. L’impiegato del comune faccendiere poi c’e’ a Castellammare di Stabia come a Chioggia. Forse a Castellammare ce n’e’ voluto il doppio per ottenere lo stesso consenso.
Non ci sono scuse per i meridionali, incapaci di esprimere una classe dirigente onesta, adagiati sullo stato e senza quel senso di responsabilita’ individuale necessario per afferrare le redini del proprio futuro. Neppure troppi elogi per i nordorientali il cui sviluppo si e’ appaiato con un degrado culturale che passa per i Maso, i Ludwig, i sassi dal cavalcavia e le alte percentuali di suicidio. Se i morti di camorra li causa il malessere ci possiamo ragionare ma cosa succede quando a causare i morti e’ il benessere?
Sicuramente c’e’ una questione di sbocchi: il triveneto si affaccia nel mezzo dell’Europa germanica mentre Campania, Calabria e Sicilia si affacciano sull’Africa. Sicuramente qualunque modello socioeconomico e’ un modello prevalentemente emergente ovvero non deciso a tavolino. Eppure la nostra classe dirigente dovrebbe trarre delle lezioni da questa storia di grosse differenze, di pregi e difetti del nostro popolo. Di cause ed effetti in territori ed ambienti cosi’ diversi.
Il vero dramma e’ che a guardare la vita del paese, ci si alimenta di emergenza e di cio’ che fa notizia. Del ponte d’acciaio a Venezia o della monnezza a Napoli. Nessuno parla di come nel triveneto Venezia capitale abbia bisogno di un centro di business, che Marghera e’ fallita perche’ invece di farci una “city” per gli affari se n’e’ fatto un centro per l’industria pesante. Perche’ in Italia, paese senza risorse naturali ma con tanta creativita’, si sono dovute soddisfare le strutture sindacalizzate dell’industria a basso contenuto tecnologico mentre le provincie di Treviso e Vicenza da sole facevano lo stesso export dell’Argentina o del Portogallo con prodoti ad alto valore aggiunto.
Il dramma e’ che ormai al sud ci vogliono tanti e tanti anni di controllo militare del territorio, di intervento capillare nel contrastare la criminalita’ a partire dalla sua collusione con il sistema produttivo del mezzogiorno. Troppo costoso e non voluto da quella classe dirigente corrotta che si ripropone con la facciatosta di Bassolino o di Moggi. Quelli che fanno presto a convincere la gente che questo assedio sarebbe un insulto.
L’Italia pero’ non e’ piu’ capace di sopportare questo peso. Ha deciso che l’investimento in mezzi e risorse per aggiustare il mezzogiorno sono troppo grossi. Ha capito che la guerra civile sarebbe piu’ efficiente ma che a sporcarsi le mani di sangue non si fa bella figura. Il federalismo inneschera’ la guerra in cui i campani si scanneranno coi campani e cosi’ i calabresi, i pugliesi e i siciliani. Poi ne verra’ fuori un mezzogiorno compatibile o meno col resto d’Italia ma non piu’ zavorra con buona pace di tutti. E cosi’ sia.

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